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Ivan Basso Daily Blog

Squadra

 


David Martín passa ai ranghi professionali con Eolo-Kometa Cycling Team

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Sito ufficiale Eolo-Kometa Cycling Team

 

 

Il sivigliano David Martín Romero è la seconda incorporazione dell’Eolo-Kometa Cycling Team per le prossime due stagioni. Il corridore di Mairena de Aljarafe, con un profilo da velocista, proviene dalla struttura u23 della Fondazione Contador, in cui ha gareggiato nelle ultime due stagioni sotto Rafa Díaz Justo. Martín (19 febbraio 1999) fa il salto dopo essere stato uno dei piloti più eccezionali della categoria nella scena spagnola, sostenuto da quattro vittorie e diverse altre posizioni notevoli.

 

"Ancora oggi non riesco a crederci, ci penso e mi viene ancora la pelle d’oca. È una sensazione unica e magica. È qualcosa che aspettavo da quando ero piccolo. È un sogno che ho avuto da quando ho iniziato ad andare in mountain bike", descrive un Martín felice. "La strada per arrivare qui è molto dura. Per me e la mia famiglia raggiungere la professionalità è un risultato molto importante. Senza di loro non sarebbe stato possibile. Naturalmente anche senza tutti i miei compagni di squadra che mi hanno sostenuto nel corso degli anni, e soprattutto i miei compagni di squadra in questa stagione. Questa stagione 2021 è stata forse la più bella che ho vissuto nella categoria U23. È stato perché abbiamo fatto cose molto belle, ma soprattutto perché ci siamo fatti molti amici tra i miei compagni di squadra. Molti di loro sono come una famiglia per me. Questa opportunità non sarebbe stata possibile senza l’aiuto della mia famiglia e dei miei amici, anche loro fanno parte di questo sogno che si sta realizzando ed è per questo che voglio che partecipino approfittando di questa opportunità, non al 100%, ma al 110%".

 

Nel 2021, quattro trionfi. Due di loro, Valladolid e Ontur, nella Coppa di Ciclismo spagnolo Élite e U23. E una moltitudine di opposti molto buoni durante tutta la campagna. "David è un corridore molto interessante", dice il team manager della squadra U23 Rafa Díaz Justo. "È un ciclista molto veloce, ma soprattutto quello che sia Carlos Barredo che io pensiamo è che ha ancora molta strada da fare. È un velocista puro capace di superare certe montagne con relativa facilità. Quali montagne? Questo deve essere perfezionato nei professionisti, che è un universo totalmente diverso a quei livelli. Ma non dobbiamo confonderci con lui, non è un ciclista con un profilo da scalatore. Prima che David arrivasse alla Fondazione, lo stavamo osservando da un po’ di tempo. Aveva già fatto alcuni posti in gare importanti, ma ciò che mi ha impressionato soprattutto è stata la sua capacità di recuperare terreno in un momento di tifosi in una zona collinare che abbiamo vissuto in una tappa di una Vuelta a Palencia. Era uno spettacolo vederlo cavalcare tra i gruppi, con quale gas. Quello stesso giorno ho chiamato Barredo per dirgli che c’era un corridore David, che mi aveva lasciato senza parole".

 

L’andaluso ha iniziato la sua carriera ciclistica in mountain bike, una modalità in cui ha vinto la finale assoluta degli Open di Spagna nella categoria cadetti, così come il secondo posto nazionale. Dal 2019 si è concentrato sul ciclismo su strada con il Team Extremadura. Due stagioni dopo, si è unito alla squadra U23 della Fondazione Contador. "Non dimenticherò mai il momento in cui mi hanno detto che mi volevano per l’Eolo-Kometa Cycling Team. Ricordo ogni momento, ogni dettaglio: stavo camminando per strada con la mia ragazza quando Ivan Basso mi ha chiamato per dirmi che mi volevano. Ho cominciato a tremare e mi sono venute anche delle lacrime agli occhi. Non potevo crederci. Poi Fran Contador mi ha chiamato per dirmi che contavano su di me, che non era uno scherzo, e allora ci ho creduto davvero". Martin era stato uno dei tre corridori scelti per formare come stagiaires durante la seconda parte della stagione, ma purtroppo il suo debutto non poteva materializzarsi né nel circuito di Gexto, dove la sua presenza era prevista, né nel Gran Piemonte. "È stata forse la cosa peggiore di questa stagione, l’unico ma che posso dire dell’anno. Mi sarebbe piaciuto fare il mio debutto, ma prima a causa del COVID-19 e poi a causa di una caduta nella Ronde de l’Isard che ha causato una crepa nel raggio del mio braccio sinistro, non è stato possibile. Questo sport è così. Quando succedono questi inconvenienti, l’unica cosa che resta da fare è affrontarli e andare avanti; non c’è altro da fare".

 

Martín Romero ha seguito da vicino gli sviluppi sportivi dell’Eolo-Kometa Cycling Team e ha apprezzato molto lo sviluppo della loro stagione. "Vista da lontano, la stagione del ProTeam è stata notevole. La prima stagione nella categoria e ci sono state importanti vittorie. Basterebbe la vittoria di Lorenzo Fortunato al Giro d’Italia. Ma c’è anche la grande stagione di Vincenzo Albanese, per esempio. Dall’esterno, è stato possibile vedere come una squadra che in teoria è una squadra minore ha messo paura alle grandi squadre. E questo deve essere apprezzato e rispettato". Il secondo acquisto della squadra per il 2022 si distingue anche per la sua disciplina e la sua capacità di lavoro, alternando nelle stagioni passate la competizione con il suo lavoro in un negozio nella città di Bormujos. "Mi piacerebbe correre la Parigi-Roubaix un giorno. E naturalmente per vincere. Sarebbe un sogno che si avvera", ha detto il giorno in cui è stato annunciato il suo arrivo alla squadra U23. David Martin si unisce a Diego Rosa nella trama delle novità del secondo progetto ProTeam dell’Eolo-Kometa Cycling Team.

 

 

 

 

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21/10/2021
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Sulle strade della Eolo-Kometa Cycling Team, stagione 2021

 

Tutte le meravigliose emozioni del 2021 con la Eolo-Kometa Cycling Team / All the wonderful emotions of 2021 with the Eolo-Kometa Cycling Team / Todas las maravillosas emociones de 2021 con el Eolo-Kometa Cycling Team / Toutes les merveilleuses émotions de 2021 avec la Eolo-Kometa Cycling Team

 

 

 

 

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18/10/2021
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Un anno di Eolo-Kometa, facciamo i conti con Ivan Basso

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(Foto Maurizio Borserini / Montaggio @IBdailyblog)
 
 
Intervista di Simone Carpanini, bici.pro
 
 
"Vincere è una parola che diventa vecchia proprio nel momento in cui la realizzi. Per questo lavoriamo per tenerla aggiornata". Sono le parole di Ivan Basso, team manager della Eolo-Kometa, cui abbiamo chiesto di tracciare un bilancio della sua squadra dopo il primo anno nella categoria professional.
 
Il 2021 ha regalato loro tanti piazzamenti nelle top ten (una quindicina per il solo Albanese) e soprattutto cinque vittorie grazie a Fortunato e l’ungherese Fetter. Se quest’ultimo ha vinto il campionato nazionale a crono ed una frazione del Tour du Limousin, il bolognese ha saputo trionfare su due grandi vette del ciclismo. Prima al Giro d’Italia sullo Zoncolan – proprio dove Basso vinse nel 2010 ed iniziò ad ipotecare quell’edizione della corsa rosa – poi sul Monte Grappa alla Adriatica Ionica Race, facendo sua anche la classifica generale. 
 
 
- Ivan, come dici tu questi successi, anche se ottenuti pochi mesi fa, appartengono al passato. Facciamo quindi un resoconto di quest’anno.

 

Il nostro bilancio è estremamente positivo. Non tanto per le belle vittorie, che chiaramente ci fanno tanto piacere, quanto perché abbiamo corso con personalità, con una mentalità giusta. Ci siamo sempre fatti vedere, la gente ha imparato a riconoscersi. Anzi adesso non siamo più la squadra di Basso e Contador, siamo la Eolo-Kometa, quella dei nostri migliori corridori. E questo ci riempie d’orgoglio.

 

 

 

- C’era il rischio in effetti che le vostre figure potessero oscurare o mettere in soggezione i vostri ragazzi. Ed invece com’è andata?

 

Molto semplicemente. Ci siamo dimenticati di essere stati corridori, senza fare paragoni con i nostri tempi. Se necessario sia io che Alberto abbiamo cercato di parlare poco e farci capire. Abbiamo detto solo le cose che servivano in quel momento. Questa è la ricetta giusta. Ma prima di tutto questo, alla base abbiamo un grande staff tecnico.

 

 

- Nomi importanti in ammiraglia.

 

Assolutamente. Mi sento di fare un grande ringraziamento a tutti i diesse. Dario Andriotto che cura lo scouting. Mentre tra Sean Yates, Stefano Zanatta e Jesus Hernandez abbiamo creato un mix perfetto tra esperienza, saggezza e gioventù. Hanno tutti davvero fatto un grande lavoro. Personalmente sono molto felice di aver portato Zanatta con noi, ho ricreato quel feeling che avevo con lui durante gli anni in Liquigas.
 
 
- Proseguiamo col bilancio, con Fortunato, Albanese, Fetter.
 
Loro tre hanno fatto davvero. Lorenzo vittorie a parte, ha corso da grande corridore quando serviva. Sia da capitano sia da gregario, come all’ultimo Giro del Veneto in funzione di Albanese. Proprio Vincenzo è stato molto regolare, tantissimi piazzamenti, gli è mancata solo la vittoria. Entrambi in proiezione futura, e con le dovute cautele e visto che molti corridori tendono a maturare un po’ dopo, possono migliorare ancora tanto e diventare uomini per le WorldTour. Fetter è un eccellente talento, con ampi margini di crescita.
 
 
- Chi vuoi aggiungere?
 
Senz’altro Gavazzi (foto di apertura, ndr), che ha fatto un bel secondo posto di tappa al Giro (a Guardia Sanframondi, ndr). Lui è un grande professionista. È stato un esempio per i giovani, ma non ha fatto da chioccia. È stato un regista in corsa ma quando si presentava l’occasione poteva avere carta bianca. Poi sono contento di Bais e Rivi anche se non è mai bello fare dei nomi nello specifico.

 

 

- Qualcuno invece che non mantenuto le aspettative?

 

Vale l’ultima frase che ho detto. Ad esempio avremo cinque corridori in uscita (si vocifera Pacioni e Wackermann, oltre a Belletti che si ritira, ndr) e a tal proposito faccio anche un po’ di autocritica. Perché se qualche atleta non ha saputo rendere al meglio, e tu società non lo riconfermi, non è detto che sia solo responsabilità sua ma anche mia, nostra. Così come vanno divisi i meriti quando un ragazzo va forte. È un po’ come a scuola quando uno studente non va bene con alcuni professori rispetto con altri.

 

 

- Se ti facciamo i nomi di Ravasi e Fancellu cosa ci dici?

 

Edward lo abbiamo confermato perché crediamo possa ritornare il corridore che era da giovane e che ha corso per tanti anni nel WorldTour (sei anni tra Lampre e UAE, ndr). Deve capire che aver fatto un passo indietro può fargli bene e portarlo a farne due in avanti. Alessandro invece è stato alle prese con problemi fisici, sfortune e incidenti in allenamento. Dobbiamo recuperarlo totalmente e siamo molto fiduciosi in lui.

 

 

- Cinque corridori in uscita. Altrettanto in entrata? Rosa è ufficiale, poi si parla di Maestri, Lonardi, Bevilacqua.

 

Quello di Diego ritengo che sia un ottimo ingaggio. Gli ho parlato di obiettivi raggiungibili, alla sua portata. Potrà fare molto bene. Sugli altri nomi che hai fatto c’è qualcosina di vero, ma mancano le ufficialità. Posso dirti però che Alex Martin (21enne spagnolo, ndr) verrà promosso in prima squadra dalla formazione della Fondazione Contador, il nostro serbatoio. Poi nello staff integreremo Biagio Conte come diesse, Samuel Marangoni tra i preparatori atletici e Nicola Magnabosco tra i meccanici.

 

 

- E per te come va in queste vesti?

 

Personalmente mi trovo molto bene in questo ruolo. Adesso ho più saggezza. Correre in bici e fare il dirigente sono due mestieri totalmente diversi.

 

 

- Il vostro progetto è tra quelli più in luce.

 

Bisogna dire che non è stato semplice allestire una professional in questo momento storico. I nostri sponsor hanno creduto in noi e stanno rendendo tutto possibile. Anzi pensate che tutti, a contratti già firmati, hanno rinnovato l’impegno aumentando per il 2022 il budget del 30 per cento per migliorare la nostra struttura. Dagli stipendi di tutte le figure ai materiali. Abbiamo un’ottima capacità di amministrare e gestire i fondi ed il merito è di Fran Contador.

 

 

- Siete una società ambiziosa. Qualcuno dice che potreste essere la prima squadra italiana a prendere la licenza WorldTour.

 

Abbiamo l’aspirazione di crescere, chi non ce l’ha? Abbiamo le capacità, ma andiamo con calma. Prima di fare un ulteriore salto di categoria bisogna avere la struttura adeguata, ancora prima dei soldi. Ci vogliono progettualità, pazienza e anche la mentalità giusta. Preferisco fare una squadra professional per tanti anni piuttosto che continuare a sognare di fare la WorldTour senza avere i mezzi. In questo devo dire che ammiro tanto sia Savio che Reverberi, che ogni tanto sento per confrontarmi con loro, che sono sulla scena da più di trent’anni e sono diventate squadre che scoprono e lanciano talenti. Ecco, noi preferiamo così, anche perché abbiamo un bel programma giovanile, con la nostra formazione under 23 di 17 atleti (di cui 7 italiani) e una filiera con una squadra junior. Al momento stiamo bene così. Aspettiamo il calendario delle gare per organizzarci. Faremo correre tutti i nostri ragazzi e ci faremo vedere ancora più di quest’anno.

 

 

 

 

 

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15/10/2021
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Diego Rosa, il primo acquisto della Eolo-Kometa Cycling Team 2022

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Sito ufficiale Eolo-Kometa Cycling Team
 
 
L’italiano Diego Rosa correrà la prossima stagione per Eolo-Kometa Cycling Team. L’esperto ciclista di Corneliano d’Alba, che ha corso le ultime due stagioni nel team francese Arkea, diventa il primo rinforzo della struttura ProTeam della Fondazione Contador per la sua seconda stagione nella categoria. Il ciclista piemontese firma per una stagione.
 
Rosa (27 marzo 1989) ha iniziato la sua carriera ciclistica nel mondo della mountain bike, disciplina in cui si è classificato nella top-ten (8°) ai campionati del mondo U23 nel 2011. Da lì ha iniziato a concentrarsi sulla strada e dopo una stagione in campo da dilettante ha fatto la svolta con l’Androni Giocattoli. Poi ha corso due anni con l’Astana e tre con il Team SKY, ora Team Ineos, la squadra da cui è arrivato al team francese.
 
"Volevo davvero tornare in un’atmosfera più italiana, mi mancava. Sono stato in Francia per due anni e prima ho passato tre anni in una squadra britannica. E prima ancora all’Astana, anche se aveva molta presenza italiana, alla fine era una squadra kazaka. Ho conosciuto diverse realtà ciclistiche e per il 2022 ho voluto fare questo passo. Il ciclismo francese è un mondo a parte, con un suo calendario diverso, un livello molto alto e tanti corridori nazionali. Conoscere altre realtà è sempre arricchente", dice il ciclista piemontese. "Durante l’estate ho parlato con Ivan Basso e Alberto Contador, ci siamo scambiati le impressioni e abbiamo subito trovato una buona armonia. Quando un corridore è tranquillo e l’atmosfera è buona, tutto è più facile e anche i risultati arrivano. In questo senso, non vedo l’ora di godermi di nuovo il mio lavoro e i miei compagni di squadra… Stiamo già pensando al 2022".
 
Il curriculum di Diego Rosa comprende una vittoria nella Milano-Torino del 2015, una tappa nel Giro dei Paesi Baschi del 2016 e l’assoluta nella Settimana Coppi e Bartali del 2018. Nel 2020 è stato terzo al Trofeo Laigueglia e decimo alle Strade Bianche. Nel Giro di Lombardia, uno dei cinque monumenti del ciclismo, è arrivato secondo nel 2016 e quinto nel 2015.
 
"Quando nasce una nuova squadra, quando arriva una nuova realtà nel ciclismo, ci si presta sempre attenzione. Per vedere come fanno, per vedere come sono organizzati… Con l’Eolo-Kometa Cycling Team c’era anche questa curiosità. Ho avuto l’opportunità di gareggiare con la squadra in alcune corse, come il Trofeo Laigueglia, le Strade Bianche, il GP Industria & Artigianato, la Tirreno-Adriatico… Nella Vuelta a Asturias sono rimasto impressionato. Stavamo lavorando duramente per ottenere la classifica generale con Nairo Quintana e ogni volta che la gara si faceva dura, la Eolo-Kometa era lì. Lorenzo Fortunato ha fatto una grande gara, sembrava molto bravo per il Giro. Ci conosciamo, perché era un compagno di squadra di mio fratello Massimo, e durante un ritiro a Livigno mi stava parlando dell’organizzazione della squadra, del ritiro in alta quota in Sierra Nevada prima del Giro d’Italia…".
 
Ivan Basso, Manager Sportivo di Eolo-Kometa Cycling Team: "Devo dire che sono stato colpito subito da Diego: dalla sua voglia, dallo spirito con cui ha accettato la nostra proposta, dal desiderio di mettersi in gioco con la nostra maglia e con i nostri colori. Lui è un corridore di livello superiore, ha fatto delle stagioni ad altissimo livello e noi cercavamo un corridore esattamente come lui. Io sono sicuro che Diego saprà mettere sull’asfalto tutto quello che mi ha detto e trasmesso negli incontri che abbiamo avuto, e sono sicuro che rappresenterà un elemento importantissimo nel processo di sviluppo della nostra squadra".
 
Fran Contador, General Manager di Eolo-Kometa Cycling Team: "Diego è un corridore con una lunga esperienza in squadre WorldTour; stiamo parlando di un corridore con un grande talento che siamo sicuri dimostrerà le sue qualità con noi. Al giorno d’oggi, per come è il ciclismo, a volte sembra che solo perché un corridore ha trent’anni, la sua carriera sia quasi finita. Diego ha molto da dare e da dire. Siamo convinti che fin dall’inizio ci mostrerà tutto il suo valore. Porterà anche molto ai corridori più giovani, visti tutti i suoi anni di esperienza".
 
 
 
 
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23/09/2021
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Casa Eolo: "Così costruiamo le nostre vittorie"

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Articolo di SportWeek, Fabrizo Salvio e foto di Chiara Mirelli
 
 
A Casa Eolo, beati loro, non timbrano il cartellino. "Qua si entra e si esce a tutte le ore proprio come da una casa vera e propria", sorride Francesco Caielli, addetto stampa della Eolo- Kometa, la squadra di Ivan Basso e Alberto Contador che il 22 maggio, alla sua prima partecipazione al Giro, ha vinto con Lorenzo Fortunato la tappa dello Zoncolan. La più affascinante e prestigiosa. 
 
Si entra e si esce perché qui dentro il ciclismo non è soltanto lavoro, ma innanzitutto passione. E vorrei vedere quando, come nel caso di Basso, hai passato in sella a una bicicletta trentotto dei tuoi quarantatré anni di vita, mettendo in bacheca due Giri d’Italia. Ecco perché, durante la pausa pranzo, il direttore dell’area sportiva del team invece di scendere in men- sa sale in bici e pedala sulle colline intorno a Besozzo, nel Varesotto, dove è il quartier generale della squadra, un capannone a due piani che a suo tempo fu la prima sede della Eolo, l’azienda di telecomunicazioni di Luca Spada da gennaio sponsor principale della squadra. "Luca è a sua volta uno sportivo praticante", spiega Basso. "Ha sempre fatto running, adesso esce in bici con me". 
 
 
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Al termine, una doccia veloce al piano terra, dove sono ubicati il magazzino, il laboratorio dei meccanici, la sala massaggi e la cucina, poi Basso, svestiti i panni del corridore, risale le scale che portano al piano superiore, quello degli uffici. Quello dove sta lui ha sulla porta una targhetta dal nome impegnativo: Zoncolan. Ma anche quelli della sala riunioni, dotata di un grande schermo per permettere le riunioni in videoconferenza ("Cuvignone", dal nome di una salita della zona) e della stanza attrezzata per i meeting (“Stelvio”) non sono da meno. "Sono stato uno scalatore, e le montagne rappresentano il momento più alto, anche in senso metaforico, di una corsa: la scelta dei nomi da assegnare ai nostri spazi è venuta naturale. E ha portato bene, vista la vittoria di Fortunato proprio sullo Zoncolan". 
 
Quel che è certo, è che "Casa Eolo non fa solo da base per la direzione organizzativa o logistica", spiega Basso, "ma sarà il punto di raduno della squadra prima delle corse. Ci siamo dati questa regola, di trovarci insieme un paio di giorni prima della partenza, come avviene per i ritiri pre-partita dei calciatori. Abbiamo un accordo con un hotel di Cittiglio per ospitare atleti e tecnici e potremo allenarci sulle nostre strade. Tra marzo e ottobre le condizioni meteo sono ideali". L’aria frizzante che si respira nei corridoi, assicurano qui, circola però da molto prima del successo di Lorenzo, che adesso si aggira tra l’enorme camion dove sono caricate le bici – una sorta di officina mobile sulle quali i meccanici effettuano gli ultimi ritocchi ai mezzi prima di affidarli ai corridori – e la sala massaggi. 
 
 
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Ed è proprio Basso, la passione di cui si diceva, a pomparla nei polmoni degli altri: i ciclisti, ma non soltanto. "La mia prima bici era azzurra. Me la regalò mio padre, che per andare in macelleria, dove lavorava, ogni giorno passava davanti a un negozio di biciclette. Io chiedevo sempre giochi a pedali. Tricicli, macchinette... qualsiasi cosa, purché potessi far girare le gambe. Quella azzurra fu la mia prima bici da corsa, arrivò che avevo 6 anni. Ed è anche la sola della mia collezione che non ho conservato: mamma la prestò a qualcuno, io non ho mai pensato di chiederle a chi. E adesso non posso più farlo, perché è morta". 
 
Si alza, chiama Fortunato, lo porta nel suo ufficio, chiude la porta. Escono dopo mezz’ora. "Mi è venuta un’idea che secondo me lo aiuterà a diventare ancora più forte. Ne abbiamo parlato, si è detto d’accordo con me. Questo è il mio lavoro. Team manager? Direttore sportivo? Faccio quello che serve, e mi piace farlo guardando in faccia i corridori. Mi siedo poco alla scrivania. Mi prendono in giro perché non sono digitale, ma è la mia fortuna: sono capace di tirare fuori il meglio dalle persone, ma non per email o whatsapp".
 
 

Passa Fortunato, e si ferma. "Avere al fianco uno come Basso, che ha vinto due Giri d’Italia, è oro. Alla mattina dello Zoncolan è stato lui a prendermi da parte e dirmi: “Fortu, tu oggi vai in fuga e vinci la tappa sullo Zoncolan”. Ho pensato: “Cavoli, se lo dice lui...”. E ci ho creduto. Pronti, via e mi metto a ruota del mio compagno di squadra Vincenzo Albanese. Dopo 10 chilometri, all’altezza di una rotatoria, quelli in testa danno un’accelerata, il gruppo si rompe, mi giro, c’è il vuoto e parto. Per un’ora non mi sono più voltato. È stata più faticosa quell’ora che la salita finale sullo Zoncolan". 
 
 
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E poi? "Ai piedi dello Zoncolan, dall’ammiraglia mi dicono  di stare attento a Mollema e Bennett, ma intanto è partito Tratnik. Allungo per andare a riprenderlo. Gli ultimi tre chilometri sono i più duri, spingo più che posso, Tratnik non c’è, improvviso una specie di cronoscalata fino in cima. Pedalo e non penso a niente. In quei momenti non hai tempo e neanche le forze, per pensare. Alzo la testa solo all’ultimo chilometro, vedo la cima della montagna e mi dico: devi spingere ancora. Non ho mai creduto di poter vincere. Solo a 200 metri dallo striscione ho capito che era fatta e ho messo su il 54 per improvvisare una volata. Dopo il traguardo mi hanno abbracciato massaggiatore, dottore, addetto stampa. Piangevano tutti, mentre io mi dicevo: “Cavoli, allora ce l’ho fatta”". E adesso, cosa rimane di questa vittoria? "La foto bella grande che mi ritrae con le braccia alzate sotto al traguardo. Al rientro a casa, la mia fidanzata Veronica me l’ha fatta trovare sopra al televisore". 
 
Basso si mangia il suo pupillo con gli occhi. "Mio erede? Non ci penso io e non deve pensarci lui. Il mio compito è dirgli le cose giuste per permettergli di crescere". Un compito reso più facile dal suo passato di corridore di alto livello, e che certamente gli viene più naturale assolvere in mezzo ad altri di un mestiere che non si può improvvisare. "A fine carriera mi resi conto che fino a quel momento avevo vissuto in una bolla, avendo un solo compito: vincere. Altro non dovevo fare e non dovevano arrivarmi problemi. Venivano fermati molto prima. Ero stato protetto da un cerchio magico di persone. Dopo, ti accorgi che la vita reale è un’altra. Devi spogliarti dei privilegi e andare a cercarli, quei problemi che fino ad allora ti erano stati evitati. E devi imparare a risolverli. Se avessi pensato di poter fare un nuovo mestiere grazie a quello che avevo appreso in sella a una bici, non ce l’avrei mai fatta". 
 
Dunque? "Ho incontrato gli allenatori di calcio per capire come si fa a gestire un gruppo: Mihajlovic, Montella, Pioli, Sacchi. Mihajlovic è un guerriero, uno che non lavora per soldi, ma perché ha il fuoco dentro. Intelligentissimo". Fatto questo? "Ho iniziato il mestiere di dirigente prima alla Tinkoff e dopo alla Trek. Insieme a Contador ho fondato una squadra giovanile, poi una professionistica, che oggi è la Eolo-Kometa. Ho viaggiato per due anni sul pullman della squadra, a contatto coi meccanici, lavando le bici e le ammiraglie. Non potevo dirigere una squadra di cinquanta persone senza partire dal basso. Alberto si occupa dello sviluppo tecnologico delle bici. Per tre anni siamo stati solo Kometa, un’azienda di Bormio che ci ha permesso di crescere. Poi abbiamo avuto bisogno di qualcuno che ci permettesse un ulteriore salto in avanti. Quel “qualcuno” si è rivelato Luca Spada, che ha seguito per un anno la squadra come tifoso prima di decidere di sostenerla economicamente anche perché è varesino come me e tiene molto alla valorizzazione del nostro territorio". 
 
 
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E adesso? "Adesso pensiamo alla nuova stagione puntando a ottenere il massimo a ogni gara per conquistarci l’invito alle grandi corse. Ripartiamo da un 30% di budget in più che verrà reinvestito, parte nel riconosci- mento economico ai corridori, ciascuno dei quali ha dato più di quel che ci si aspettava, e il restante nello sviluppo dell’area tecnica. Sono i dettagli a fare la differenza tra vittoria e sconfitta, e voglio che siano curati sempre di più". Un po’ come faceva lui da corridore: "Mi sono sempre applicato tantissimo: già a 8 anni mi appuntavo i chilometri, le ripetute, le salite di ogni allenamento. Il viale del cimitero di Cassano Magnago, dove abitavo, è lungo 500 metri: lo facevo avanti e indietro per sessanta minuti. Ogni volta che miglioravo il tempo finale, per me quello rappresentava il mio record dell’ora. Ho sempre avuto chiarissimo, fin dalle Elementari, quale mestiere volessi fare. Avevo i quaderni pieni della mia firma: facevo prove di autografo – Ivan Basso, Basso Ivan – pensando al giorno in cui sarei diventato un corridore famoso. A 15 anni scelsi il modo in cui avrei firmato per il resto della mia vita. Il primo autografo che ho chiesto fu a Moser, dopo il suo record dell’ora al Vigorelli. Per molto tempo provai a imitarne la grafia. Mi infilavo apposta nelle pozzanghEre per sporcarmi, perché nella mia fantasia le gambe imbrattate di fango mi facevano assomigliare ai corridori della Roubaix. Sognavo di diventare come loro, e sognare mi ha aiutato a diventare quello che sono". 
 
Il libro dei ricordi si apre su pagine precise: "La prima maglia rosa a Zoldo è stata un momento speciale. Un’altra maglia rosa che ricordo volentieri è quella conquistata sull’Aprica. Poi è una bella lotta tra lo Zoncolan e l’Arena di Verona nel 2010, quando si chiuse un cerchio di sofferenza personale, oltre che sportiva, aperto con la squalifica per doping di tre anni prima. Quella che rifarei volentieri è la tappa dello Stelvio in cui presi 52 minuti e arrivai che era quasi buio, al Giro del 2005". La squalifica, già. "Ho corso in un’epoca in cui l’ossessione per la vittoria mi ha portato in una direzione sbagliata. Se tornassi indietro, vorrei essere più forte di quella ossessione e, dunque, delle tentazioni, evitando di infilarmi in un casino come quello del 2006. Ma sono orgoglioso del corridore che ero stato fino a quel momento e di quello che sono tornato a essere dal 2008 fino alla fine. Nei due anni di stop misi insieme 80 mila km in bici e, mentre mi allenavo, ricordavo uno a uno i sacrifici fatti per diventare, senza scorciatoie, un vincente. Perché il ciclismo è uno sport di sacrifici, non puoi farlo per soldi o per l’ambizione di vincere. Già allacciarti le scarpe è un fastidio. E il pantalone, così aderente, uguale. Uscire con la temperatura a 40 gradi o sotto la pioggia: ci vuole passione". Si torna sempre a quella. 
 
 
 
 
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19/09/2021
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Il Giro di Alberto

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Articolo di Matteo Pirelli, Gazzetta Dello Sport

 

 

"Sono più nervoso di quando correvo... Se vince Fortunato, vadoda Pinto a Milano, 1600 chilometri, in bici. Capito?". Era lo scorso 22 maggio, tappa dello Zoncolan al Giro d’Italia. Le immagini in cui Alberto Contador da casa "spinge" Lorenzo Fortunato all’impresa su una delle salite più affascinanti della Corsa Rosa sono diventate presto virali. Del resto, quella è stata una giornata storica per il team Eolo-Kometa del Pistolero e di Ivan Basso, il progetto più moderno del ciclismo italiano, che in quella occasione conquistò il primo successo. Che, per prestigio e modalità (in fuga dal chilometro 12 e solitario all’arrivo), resterà una pietra miliare nella carriera "manageriale" dei due ex campioni. E quella vittoria fu anche prevista da Basso che al mattino, prima della partenza,aveva detto che Fortunato avrebbe potuto vincere. Detto e fatto.

 

Restava da mantenere quella promessa. E il Pistolero è stato di parola. Lunedì, assieme al suo gruppo di nove amici della Aurum Bike Travel, è salito in bici e si è messo in marcia verso Milano. Sei tappe, da Madrid al capoluogo lombardo, due frontiere da superare, e1600 chilometri in totale per un dislivello complessivo di circa 5000 metri. "È una cosa nata un po’ per gioco - racconta Ivan Basso, re di due Giri d’Italia, nel 2006 e 2010, anno in cui vinse una tappa proprio sullo Zoncolan -. Tra me e Alberto c’è grande complicità, io gli dò una mano sulla parte legata alle bici e lui sulle questioni relative alla squadra. Il nostro obiettivo al Giro era ambizioso per una squadra Professional e giovane come la nostra: vincere una tappa. Con Alberto ci sentivamo tre-quattro volte al giorno, lui non poteva venire di persona perché aveva il Covid e così ha fatto il tifo da casa, con quel famoso video che ha fatto il giro del mondo. Come s’è visto e rivisto, non stava nella pelle...".

 

Il percorso Subito dopo lo Zonzolan, Contador ha cominciato a pianificare il viaggio per mantenere la promessa. E lunedì, appunto, si è messo in marcia. Un viaggio anche di piacere per uno che dà le bici alla squadra col suo marchio Aurum e si mantiene in forma pedalando quasi tutti i giorni. "Sono un gruppo molto organizzato - continua Basso -. Hanno al seguito una vettura per ogni esigenza e hanno pianificato tutto, dagli hotel ai posti dove fermarsi. Le gambe a Milano saranno pesanti, perché il percorso è molto impegnativo viste anche le tante montagne da passare. Ma è tutta gente preparata".

 

Nel frattempo le prime due tappe sono state già portate a termine: lunedì la Madrid-Saragozza, 368 chilometri coperti in 10 ore e 39 minuti che non hanno affaticato Contador: "È stato uno dei giorni più belli che ho trascorso in bicicletta - il messaggio sui social del madrileno - , bella tappa affrontata con tanti amici: anche se può sembrare sorprendente, ci è sembrata corta e veloce. E continuiamo con lo stesso entusiasmo la nostra Madrid-Milano".

 

Ieri, invece, è stata la volta della Saragozza-La Seul d’Urgell (275,9 chilometri), non lontano da Andorra. Da dove si ripartirà oggi per poi arrivare a Montpellier dopo 315 chilometri (la tappa più lunga di questa pedalata) dopo aver attraversato la frontiera Spagna-Francia sui Pirenei. E domani, a far compagnia a Contador e amici, arriverà proprio Ivan Basso. "Raggiungerò il gruppo a Gap in serata - dice ancora il varesino - e farò le ultime due tappe assieme a loro. Sarò alla coppa Sabatini con la squadra e la sera dalla Toscana partirò verso la Francia. È l’occasione per stare assieme, mantenersi in forma e pianificare le ultime corse della stagione".

 

Da corridore, Basso non ha mai fatto promesse, voti o cose del genere. Pedalava e basta. Ma da quando è sull’ammiraglia il suo pensiero è cambiato. E gli orizzonti si sono allargati. Ed ecco che arriva la "proposta indecente". "Facciamo così - chiude Ivan -. Se al prossimo Giro d’Italia con la Eolo-Kometa vinceremo due tappe, migliorando il risultato di quest’anno, farò come Alberto ma sul percorso opposto. Da Milano a Madrid in sei tappe". La sfida è lanciata.

 

 

 

 

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15/09/2021
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Fortunato sulle tracce di Basso. Ivan racconta…

InterBiciProAgosto2021.jpg

(Foto: Maurizio Borserini / Montaggio: IBdailyblog)
 
 
Di Filippo Lorenzon, bici.pro

 

 

 

Dopo l’intervista con Lorenzo Fortunato e quel che ci ha detto ci è venuto in mente il suo team manager Ivan Basso quando era lui ad essere un giovane corridore in rampa di lancio. La sua voglia, le sue aspettative, i metodi di lavoro… E cosa abbiamo fatto? Abbiamo chiamato il due volte vincitore del Giro!

 

 

- Ivan, Lorenzo Fortunato, ma quanto entusiasmo in quell’intervista…
 
Lui è stato fortemente voluto da me alla Eolo-Kometa. Lo ricordo quando fece lo stage alla Tinkoff. Era un predestinato, poi per diversi motivi non ha ingranato subito. Ho un rapporto con il suo manager, Luca Mazzanti, molto franco. Per dirla breve quando correvamo abbiamo anche condiviso la camera e credo che una simbiosi così tra manager e team manager sia molto meglio. Il manager sa capire quale possa essere la squadra migliore per il suo atleta e non mira solo a guadagnare di più. E c’è più dialogo fra tutti.
 
 
- Lorenzo era alla Vini Zabù…
 
E quando c’è stata l’opportunità di prenderlo lo abbiamo fatto. Prima non si poteva. Ma grazie all’ottimo rapporto con Citracca il passaggio si è potuto realizzare. Io con Zanatta e gli altri tecnici ci abbiamo lavorato. Un lavoro soprattutto di testa.
 
 
- In cosa?
 
Prima ho detto che era un predestinato non a caso. Ma uno che vince e poi si "abitua" a non vincere si trova di fronte ad un problema psicologico, almeno per quelli forti. Entri in una "pseudo-patologia" che comporta sfiducia, continui cambi di programmi, scarsa progettualità… un corto circuito che va a ripercuotersi anche sugli aspetti tecnici.
 
 
- Lorenzo che corridore è?
 
È un corridore estremamente determinato e preciso, che segue alla lettera ciò che gli viene detto. La cosa che più mi ha impressionato è stato il controllo del successo. Dopo queste vittorie è rimasto esattamente come prima.
 
 
- Quando ci parlava ci sei venuto in mente: i tuoi allenamenti, i tuoi obiettivi… Dover restare con i big in salita pensando all’anno successivo… Ci state già lavorando?
 
Quest’ultima settimana ha simulato una gara a tappe di sei giorni, come feci io con Aldo Sassi. Ha fatto sei giorni di dietro moto finendo l’ultima tappa con il Giro dell’Emilia. Direi che è determinato.
 
 
- Bello tosto…
 
Io cerco di essere fonte d’ispirazione per i miei ragazzi. Poi tutti sono diversi e non è che debbano fare per forza quello che ho fatto io.
 
 
- Come avverrà questo primo passaggio di crescita in vista del prossimo anno?
 
Terminando bene la stagione. Lorenzo ha colto dei risultati strameritati e che sono al suo livello, ma questo adesso comporta responsabilità. Da adesso in poi in corsa c’è Fortunato: gli addetti ai lavori e il pubblico se lo aspettano davanti. Se vuoi essere tra i 10-15 corridori migliori devi esserci. Io non voglio che Fortunato adesso prepari il Giro 2022. Il Giro si prepara all’Emilia, al Lombardia, presentandosi bene al ritiro, facendo i migliori tempi in salita guadagnandosi anche il rispetto dei compagni, facendo sapere ai diesse chi sei e che sei "sul pezzo". È stato lui, per esempio, che mi ha chiesto di fare quella settimana di simulazione. E questo mi è piaciuto… 
 
 
- Se dovessi paragonare il Fortunato di adesso a quale Ivan Basso lo paragoneresti?
 
Al Basso nel passaggio tra la Fassa Bortolo alla Csc (anno 2005, ndr), perché quello è stato il momento in cui ho dato i primi segnali di essere un corridore vero, di avere possibilità importanti. Alla Fassa avevo vinto il Mediterraneo, avevo preso la maglia bianca al Tour finendolo in 11ª posizione, poi feci settimo l’anno dopo (il 2003 ndr). Ed ero pronto ad un salto.
 
 
- Sul fronte tecnico in cosa deve migliorare Fortunato?
 
Deve andare forte sia a crono che in salita. Ma io ho un credo: chi va forte in salita, può andare forte anche a crono se ben messo, chiaramente riferito ai suoi competitor e non ai cronoman puri. E quindi sta già lavorando su questa specialità, ma in ogni caso deve lavorare su tutte le aree, non solo quelle tecniche. Fare il campione è diverso che fare il corridore…
 
 
- Però! Bella questa…
 
Ma lì sta anche la bravura dei tecnici che sanno fare il loro lavoro e lasciano che il corridore sia spensierato e faccia il proprio compito. Spetta a me, a Zanatta, a Yates, ad Hernandez creargli le condizioni per andare forte.  E chi lo aiuta deve sapere che stiamo parlando di un professionista.
 
 
- Beh, non sono tutti pro’? Spiegaci meglio…
 
Non devono fare né le granfondo, né le ultracycling… ma non credete che chi abbia una licenza da professionista sia poi davvero un professionista. C’è chi è svogliato, chi va in sovrappeso, chi non fa il corridore per 365 giorni l’anno. Vi faccio un esempio.
 
 
- Spara…
 
Quanti corridori ci sono che ad agosto hanno 2-3 chili in più? Tanti. Come mai il Laigueglia, che è ad inizio stagione, lo finiscono in tanti, o comunque restano in gara a lungo, e nelle gare d’estate solo in pochi vanno all’arrivo? Perché in pochi sono dei veri professionisti. C’è chi ha già staccato, chi tanto ha un contratto in tasca per l’anno successivo, chi è sovrappeso, chi ha già fatto i suoi risultati e lascia andare. Non lo nascondo, ho dei corridori che in tal senso mi hanno deluso e dai quali mi aspetto un atteggiamento diverso.
 
 
Insomma Basso sa il fatto suo. Ivan era uno stakanovista del lavoro. Se Fortunato, come sembra stia già facendo, farà sua questa mentalità potremmo contare su un italiano in più che lotta per i grandi Giri.
 
 
 
 
@IBdailyblog

13/08/2021
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